giovedì 17 gennaio 2013

Sul 'portfolio'


Originariamente il portfolio appartiene al campo delle arti espressive e prende la forma in una raccolta di lavori, di opere personali come disegni, fotografie, testi scritti e così via, che testimoniano le particolari capacità e qualità del soggetto che le ha prodotte.
Più esattamente è una raccolta dei lavori migliori, tale da testimoniare il valore dell’artista di fronte a un interlocutore. Già in questa sua funzione originaria si coglie come il portfolio voglia essere uno strumento di comunicazione: non è fine a se stesso, ma svolge una funzione di narrazione, di comunicazione all’interno di una relazione, deve dire qualcosa di una persona ad altre persone.
La costruzione del portfolio dunque non può che essere un atto personale che impone una decisione rispetto a ciò che di sé l’artista vuole comunicare e obbliga a un atto di interpretazione colui che comunica come colui che ascolta e riceve l’informazione.
Questi tratti non si perdono nel suo trasferimento all’ambito educativo; il portfolio conserva la sua impronta creativa, comunicativa, interpretativa e proprio questi aspetti ne fanno uno strumento particolarmente utile alla valutazione qualitativa e alla realizzazione di interventi valutativi che vogliano anche essere formanti.
Il portfolio quindi, utilizzato in classe per la valutazione educativa, è più precisamente una raccolta di ciò che lo studente produce nei momenti quotidiani dell’anno scolastico. La forma concreta è quella di un raccoglitore in cui vengono riposti i lavori dello studente. Già dalla descrizione del suo aspetto fisico si possono ricavare alcuni elementi del modello valutativo sottinteso.
Intanto si tratta di uno strumento pensato per essere utilizzato in un contesto relazionale preciso e limitato: quello della vita di classe; in un tempo che è quello del quotidiano svolgersi del processo formativo in cui l’intervento valutativo e quello didattico fluiscono intrecciati; infine già è possibile cogliere come l’attenzione sia posta sul soggetto e sulla sua produzione.
Il portfolio scolastico conserva anche un altro aspetto del portfolio artistico che lo specifica ulteriormente come metodo alternativo di valutazione, infatti, anche in ambito educativo, non si tratta semplicemente di raccogliere tutti i lavori dello studente, ma solo quelli migliori, quelli che rappresentano la sua riuscita.
La logica sottostante al portfolio è una logica selettiva in cui il potere decisionale è prevalentemente nelle mani dello studente che, selezionando i propri lavori, decidendo che cosa inserire nel portfolio, si riappropria della responsabilità valutativa ed è stimolato a riflettere su sé stesso, sulla qualità del proprio prodotto e del proprio percorso, sui punti di forza e di debolezza e sui passi da compiere per migliorarsi.
Insomma selezionando, decidendo, valutando egli compie un percorso di autoconoscenza e autovalutazione e costruisce e comunica, motivandola, la propria immagine di sé. In ogni caso va detto che nella selezione dei lavori da inserire nel portfolio possono intervenire, e generalmente intervengono, anche criteri esterni al soggetto, ma definiti sempre con il suo coinvolgimento; comunque sia, la scelta dei lavori deve sempre essere motivata dallo studente che la compie. Non si tratta solo di scegliere, ma di dire perché si è scelto un lavoro piuttosto che un altro, di svelare la propria interpretazione, il criterio che fa sì che un prodotto sia giudicato migliore. Attraverso il portfolio inoltre il soggetto è chiamato a riflettere sui singoli lavori, ma anche sulla relazione che tra essi intercorre, sullo sviluppo complessivo e sull’andamento qualitativo del proprio apprendimento, sui processi che hanno condotto a determinati risultati.
Il 'formato ideale' e originario del portfolio è pensato per il raggiungimento di due scopi fondamentali: a) formare la capacità di riflettere sul proprio lavoro, sugli esiti e sui processi, e di valutarli; b) rendere manifesto il percorso di sviluppo del soggetto, la sua storia di formazione, affinché egli ne diventi consapevole e possa giudicarla e orientarla.
A questo punto dovrebbe essere evidente il perché si è indicato il portfolio come uno strumento capace di fare della valutazione un momento anche formativo. Questo strumento rappresenta una possibilità di concretizzare il progetto di una valutazione che sia formante poiché, responsabilizzando lo studente, realizza una valutazione consapevolizzante. Attraverso il portfolio lo studente esercita l’autovalutazione e partecipa consapevolmente alla costruzione e all’orientamento del proprio apprendimento.

Sulle competenze


          Si può parlare di cosa siano le competenze, e dell'importanza da loro rivestita, intanto ponendo attenzione al processo di rilevazione dell’apprendimento.
Infatti a partire dal vissuto dell’alunno, è fondamentale progettare itinerari formativi e ipotizzare una rilevazione dell’acquisizione dell’apprendimento, prevedendo prove complesse contestualizzate, che consentono di accostare le competenze raggiunte attraverso le conoscenze e abilità indicate negli obiettivi formativi in fase di progettazione.          
Le competenze possono cioè essere intese come “strategie contestualizzate”, vale a dire in altri termini capacità di relazionare in modo creativo e specifico conoscenze e procedure in modalità differenti e in contesti differenti, rispetto a uno scopo preciso: ciò sta a significare non solo individuare e risolvere problemi in un contesto organizzato, ma anche esercitare un controllo sulle procedure utilizzate per risolvere un problema e usare abilmente e in modo creativo le proprie conoscenze dichiarative e procedurali.
Fermarsi all’analisi del prodotto, della performance, non garantisce sotto questo aspetto. Diviene essenziale l’analisi del processo, della consapevolezza delle scelte effettuate soprattutto in relazione alle strategie e ai tre livelli fondamentali di conoscenza:
-         dichiarativa, che attiene conoscenza di nomi, date, eventi e così via ed è legata alle precomprensioni;
-         condizionale, che riguarda porre legami tra eventi, compiere inferenze e permette di predire cosa accadrà a partire da informazioni note (se… allora…);
-         procedurale, che include i primi due e attiva un processo di 'problem solving' in vista di un obiettivo o scopo da raggiungere, selezionando le azioni da compiere per riuscirci.
Una valutazione che voglia seriamente prendere in carico il processo di apprendimento deve toccare tutti e tre i livelli. Se per il primo le verifiche tradizionali sono strumento sufficiente e per il secondo la strutturazione oculata di prove oggettive può dare garanzie, per la conoscenza procedurale lo strumento più adeguato sono le prove contestualizzate complesse.
Anche le prove si diversificano a seconda della metodologia generale d’insegnamento utilizzata: più centrata su processi di assimilazione e riproduzione dei contenuti oppure più tesa a promuovere quell’appropriazione significativa provata dalla capacità d’uso delle conoscenze in contesti reali e complessi, che richiedono l’integrazione produttiva di abilità diverse e conoscenze tratte da ambiti diversi.
Per questo serve una valutazione autentica, cioè un processo predittivo, capace di determinare ciò che l’alunno saprebbe realmente fare con ciò che sa in un contesto concreto, rilevando dunque le sue effettive competenze ed educandolo anche ad autovalutarsi, in modo da responsabilizzarlo. 

Ruolo della formazione nella società della conoscenza


La società del terzo millennio è assai diversa da quella per la quale era stato progettato il sistema di istruzione che stiamo per abbandonare (nella scuola) o è stato abbandonato (nell'università). Globalizzazione, 'new economy', finanziarizzazione dell'economia, apertura dei mercati internazionali sono alcuni degli elementi che caratterizzano le società nelle quali viviamo e con le quali i sistemi formativi devono oggi fare i conti. Negli scenari attuali, la risorsa economica di base non sono più, o almeno non soltanto, il capitale finanziario o il lavoro e tanto meno le risorse naturali, ma le relazioni, le conoscenze, il capitale umano e intellettuale. Le conoscenze, le capacità e l'immaginazione, così come il 'networking' per la messa a fattor comune di esperienze, capacità e conoscenze e, quindi, la capacità di apprendere, contano più dei capitali fisici, tecnologici e finanziari tradizionalmente al centro degli scenari economici ed organizzativi.
L'esigenza di formare persone con elevate qualifiche, calate sulla cultura locale, deve sapersi conciliare contemporaneamente con la necessità di fornire quelle competenze necessarie per rapportarsi ad una società che non ha altri confini che non siano quelli planetari. Ciò anche alla luce delle principali trasformazioni del mercato del lavoro, che pongono l'accento sull'importanza della circolazione del sapere in una logica tesa alla formazione dell'individuo non solo nelle sue componenti legate al lavoro e alla sfera produttiva, ma anche nel rispetto della sua crescita personale e sociale (si pensi all'introduzione di concetti come 'empowerment' e 'self-empowerment') quale soggetto responsabile ed attivo anche sul piano del sapersi mettere e rimettere in gioco in mercati del lavoro mobili, fluidi, flessibili e precari.
Centrale diviene il ruolo dell'individuo come risorsa, in cui l'identità professionale richiama non solo abilità di ordine tecnico, ma anche un capitale umano da costruire e ricostruire lungo tutto l'arco dell'esistenza. Cambiano quindi le caratteristiche richieste ai "nuovi" lavoratori: a questi non vengono semplicemente chieste conoscenze generali o competenze specialistiche, ma anche e soprattutto propensione ad apprendere, capacità di cogliere i segnali di cambiamento e di reagire ai problemi, flessibilità e mobilità. Alle competenze tradizionali si aggiungono oggi competenze di carattere generale e trasversale, o metacompetenze, che consentono quindi al lavoratore di muoversi in contesti sempre meno regolati. Così come l''e-competence' è un termine, e una richiesta, sempre più presente negli scenari delle nostre vite, lavorative e non.
L'uso della parola competenza nella riflessione sul sapere e sul saper fare, poi, è da tempo oggetto di dibattito, poiché si tratta di un concetto dai contorni sfumati, che non a caso viene utilizzato per esprimere l'ambivalenza di mutamenti culturali che riguardano il passaggio dalla centralità del concetto di insegnamento a quello di apprendimento; se si assume questa prospettiva, riflettere sul formare e sull'educare significa non tanto soffermarsi sui contenuti, vale a dire i singoli saperi e le discipline, ma sul modo in cui si predispone un soggetto all'apprendimento.
Nell'attuale società i saperi subiscono una continua trasformazione in qualsiasi campo, e nuovi saperi entrano continuamente e velocemente nel complesso scenario della conoscenza. Non è più possibile continuare a riprodurre le conoscenze nei modi tradizionali e, se le istituzioni formative, in primis la scuola e le università, non si adegueranno nell'organizzare nuove modalità di trasmissione dei saperi, correranno il rischio di essere emarginate dalle nuove infrastrutture di produzione della conoscenza.
Il concetto di apprendimento, così come quello dei saperi in rete e del networking, diviene il nucleo intorno al quale ruota l'impostazione della formazione oggi, a qualsiasi livello, in una prospettiva che ne sottolinea il carattere costruttivo: ogni soggetto si impegna nella costruzione delle proprie abilità, assume consapevolezza del proprio punto di vista, in una continua attività di organizzazione e di riorganizzazione delle proprie conoscenze e capacità, in un processo in cui la persona assume quindi un ruolo attivo, con un accento particolare sul modo in cui si apprende e in cui si produce apprendimento.
Per quanto riguarda, in particolare, le aziende e le altre organizzazioni, solo negli ultimi anni la maggior parte dei manager hanno cominciato a considerare conoscenze e competenze come risorse strategiche che dovrebbero gestire allo stesso modo in cui gestiscono i flussi di cassa, il personale o le materie prime. II lavoro manageriale del futuro prossimo venturo sarà connotato, ben più di oggi, in termini di sviluppo del capitale umano e intellettuale: creazione di conoscenza organizzativa, gestione e sviluppo delle conoscenze, delle capacità e delle abilità, per diffonderle all'interno/esterno delle organizzazioni e tradurle in prodotti, servizi e sistemi.
Valga tutto quanto detto con l'avvertenza che la conoscenza è un oggetto complesso e poliedrico: accanto a conoscenze verbali, o comunque verbalizzate e narrate, o numeriche, troviamo 'insights' soggettivi, intuizioni, modelli mentali, credenze, percezioni e varie forme di quella che viene solitamente definita "conoscenza tacita" e che ci ricorda che noi possiamo conoscere e saper fare più di quello che sappiamo esprimere e, inoltre, che le conoscenze più preziose difficilmente possono essere insegnate e trasmesse con modalità dirette e classiche, vuoi perché per un certo verso obsolete, vuoi perché ormai insufficienti a soddisfare le esigenze e le richieste formative attuali. Ben sapendo, comunque, che le tecnologie da sole non possono garantire l'utilizzo ottimale del capitale umano e intellettuale e che l'elemento chiave più rilevante per un pieno utilizzo delle conoscenze e delle capacità è costituito dal consolidamento di una cultura organizzativa volta a incoraggiare e supportare la condivisione delle conoscenze e delle competenze.
(di B. Bertagni, M. La Rosa, F. Salvetti)

Esperienze di insegnamento e aspetti della propria professionalità


Parlando di personali esperienze di insegnamento e di aspetti consolidati della propria professionalità, data per ferma e scontata la padronanza della materia oggetto di insegnamento/apprendimento, credo fermamente che sia fondamentale che il docente ami la propria disciplina, la viva costantemente e sia messo in condizione di poter provare letteralmente gusto nell'insegnarla. É importante, cioè, che il docente abbia piacere a far conoscere, discutere e vivere ai propri allievi i momenti formativi della propria disciplina. Questo suggerimento indica chiaramente che il docente deve cogliere i momenti basilari della propria disciplina nell’ambito dei programmi da sviluppare nei diversi anni e caratterizzare i suoi interventi didattici raccordandoli con spunti personali e riflessioni critiche. In altre parole deve mirare a presentare la sua disciplina come una chiave di lettura della realtà. E ciò è tanto più bello quanto più si abbattono le distanze docente-discente e si entra in uno stretto rapporto di collaborazione nella ricerca della conoscenza su ogni particolare argomento affrontato. Dunque per me la passione del docente, unita alla sua preparazione, è il motore di un insegnamento proficuo perchè lo stesso docente, interessato e motivato a migliorare la propria metodologia didattica ed impegnato seriamente a  trasmettere le sue esperienze, è anche in grado di leggere i segnali innovativi, da qualunque direzione provengano: ritengo che questo modo di porsi sia proprio di un docente nonchè educatore che viva la sua attività con passione, prima ancora che come un lavoro.
Infatti la professione docente non è facile; lo è ancor meno quella dell’educatore. Insegnare, poi, diventa ancora meno facile, di quanto già non sia, se lo si fa solo per necessità di lavoro. Si può essere ottimi conoscitori della propria disciplina e comunque non riuscire a trasmetterne i fondamenti a chi è desideroso di apprenderli.
Per questo mi convinco sempre di più, come accennavo prima riferendomi alla mia esperienza personale, che l’insegnamento diventa gratificante e ricco di soddisfazioni solo se coesistono la passione per la disciplina e l’obiettivo di contribuire alla crescita della comunità.
Scendendo poi più nel dettaglio, credo che una buona metodologia didattica, a mio giudizio, dovrebbe promuovere e incentivare la creazione nelle scuole di ambienti di apprendimento che superino lo schema classico:
lezione frontale ® studio individuale ® interrogazione;
bisogna dare invece vita a comunità di discenti e docenti che insieme analizzano ed approfondiscono gli oggetti di studio nella costruzione dei saperi condivisi.
Come corollario di questo obiettivo si deduce immediatamente che una didattica nell'ambito della scuola può dirsi valida, a mio parere, solo se adotta metodi di insegnamento capaci di valorizzare contemporaneamente gli aspetti cognitivi e quelli sociali, gli aspetti affettivi così come quelli relazionali. In altri termini non ci può essere apprendimento significativo se il soggetto non condivide i momenti formativi facendoli propri. Quest'ultimo deve, cioè, poter assimilare ed accomodare nella propria matrice cognitiva le nuove conoscenze di cui è venuto in possesso.