sabato 12 ottobre 2013

Interesse e rilevanza del progetto educativo ed i suoi principali orientamenti


Oggi la scuola, per svolgere adeguatamente la propria azione educativa, deve trasmettere una cultura allargata in senso antropologico, fatta dei saperi e delle abilità socialmente definiti e strettamente correlati alla complessità civile. Le definizioni di un progetto scolastico educativo di questo tipo possono essere molteplici; è intanto precipua finalità dell'educazione favorire la nascita e l'affermarsi di una specifica identità di ciascun soggetto che abbia bisogno di un riferimento e modelli ideali con i quali confrontarsi, incarnati e testimoniati da individui adulti. Questa caratteristica impone, quindi, agli adulti in genere, e nello specifico agli educatori di professione, una precisa assunzione di responsabilità unita al coinvolgimento delle proprie idee, della propria personalità e delle proprie scelte.
Tuttavia l'allievo finisce oggi per essere sottoposto ad una quantità eccessiva di stimolazioni con la conseguenza di accentuare, invece che la creatività, la passività, cioè, in altri termini, la ripetizione meccanica di codici appresi per imitazione. La nostra attuale società, con un accentuato pluralismo del comportamento e delle forme culturali, ha prodotto e continua a produrre la percezione che valori e norme sociali abbiano una natura relativa. Di questo cambiamento risente chiaramente e fortemente l'educazione, come strumento di una socializzazione che è funzionale alla trasmissione di cultura e di valori:  l'educazione, infatti, deve ispirare la tensione verso la realizzazione di un progetto esistenziale carico di valori culturali, etici e solidali. La responsabilità dell'educatore richiede anche e conseguentemente il peso ed il compito di esercitare un'equilibrata forma di autorità nei confronti del minore che vada a rivestirsi appunto di un'autentica autorevolezza nel sistema di valori di riferimento del minore stesso. Risulta evidente, in questo contesto, come anche l'educatore a sua volta impari qualcosa dall'esperienza del rapporto e del confronto con l'educando in termini umani e professionali, ma solo con la necessaria autorità, e dunque autorevolezza, egli potrà conquistare e mantenere la fiducia dello stesso educando.
Si tratta di coinvolgere, nell'ambito del processo educativo, la propria testimonianza personale in quanto essa è la misura della credibilità dei contenuti, modelli ed esempi che vengono proposti; l'educatore opera infatti delle scelte per conto dei suoi allievi e deve renderne conto, per l'appunto, attraverso il processo educativo messo in atto, in riferimento ai bisogni dei soggetti che gli vengono affidati e programmando gli opportuni interventi. Inoltre l'educatore condivide questa responsabilità con la famiglia e con l'intera generazione adulta che insieme stanno a rappresentare lo sfondo attivo e concreto della vita associata, nella quale il minore dovrà collocare la propria esistenza futura.

martedì 8 ottobre 2013

Saper insegnare implica anche saper comunicare


Saper tenere una lezione significa anche agire sapendo come comunicare e gestire quello specifico tipo di comunicazione e non solo nel senso di spiegare e/o chiarire; in effetti la lezione è anche un atto comunicativo per diverse ragioni. In primo luogo essa presuppone un lavoro di mediazione didattica volto a creare le condizioni ideali nel corso del processo di apprendimento degli studenti. Il docente-comunicatore deve infatti impegnarsi e puntare con convinzione e determinazione a facilitare l'incontro fra contributi culturali di una comunità civile ed alunni con specifici bisogni formativi e problematiche ad essi profondamente inerenti. Nella scuola media, ad esempio, quest'ultime sono costituite dal primo impatto dei ragazzi con il critico e delicato periodo adolescenziale, sia pure nella sua fase iniziale. Dunque per saper comunicare mentre si fa lezione risultano fondamentali anche la progettazione e realizzazione del curricolo insieme alla predisposizione di un ambiente adeguato, efficace e funzionale ai processi di acquisizione cognitiva degli allievi. Inoltre una particolare disposizione dei banchi, uno specifico approccio verso il gruppo classe, l'utilizzo di strumenti multimediali per la presentazione dei contenuti disciplinari, al fine di incontrare i differenti stili sensoriali e di apprendimento di ciascun discente, rappresentano sicuramente esempi di interventi che contengono una valenza ed un'intenzionalità anche e soprattutto comunicative.
Elemento forte di comunicazione in una lezione è anche il livello di interattività che in essa viene favorito, togliendo spazio e tempo alla monodirezionalità della comunicazione del docente e coinvolgendo invece direttamente gli allievi tramite domande e frequenti lavori di gruppo. La lezione implica poi una dimensione comunicativa anche dal più classico punto di vista, vale a dire quello del linguaggio utilizzato dall'insegnante, nel senso che il linguaggio in questione possa risultare sufficientemente chiaro ed argomentato ad allievi con diverse competenze, intelligenze e background culturali mediante la scelta del lessico usato, la giusta gradualità espositiva ed il livello di ridondanza nel discorso.
Un altro aspetto della comunicazione nell'approccio didattico riguarda invece la dimensione interpersonale ed affettivo-relazionale dei soggetti coinvolti. Mentre spiega, il docente non comunica ai ragazzi solo informazioni e concetti, ma anche la sua idea delle persone che ha di fronte, il suo punto di vista sul suo stesso ruolo e sul ruolo che attribuisce alla scuola, le sue emozioni, il suo eventuale disappunto e finanche la sua motivazione a svolgere quel determinato lavoro in quel preciso momento e con quale grado di passione. Il tono della voce, le accentazioni nel discorso, la postura, la gesticolazione, la prossemica, la direzione dello sguardo sono potenti strumenti di comunicazione; ulteriori elementi di comunicazione sono, sempre a livello relazionale, la capacità di empatia e decodificazione dei segnali non verbali provenienti anche involontariamente dagli studenti con il raccordo dei saperi veicolati alla loro esperienza concreta attraverso esempi e rimandi ai loro precipui contesti di vita. Questa attenzione al loro vissuto piace particolarmente ai ragazzi perché la interpretano positivamente come un prendersi cura delle loro esigenze e come apertura della scuola alla vita reale.
Quindi il docente, per quanto detto, è anche eminentemente e senza ombra di dubbio un professionista della comunicazione, volta quest'ultima ai fini più nobili dell'educazione, formazione ed istruzione dei propri allievi.

martedì 9 aprile 2013

Sul curricolo implicito


Assieme al ben noto curricolo esplicito, assume sempre maggiore rilevanza il cosiddetto curricolo implicito o nascosto. Esso è costituito da tutti quegli aspetti della vita scolastica e dell'ambiente di apprendimento che hanno ricadute significative sulla formazione degli allievi, pur senza costituire contenuti o strumenti espliciti di formazione didattico-educativa da parte degli insegnanti o di apprendimento da parte degli studenti. I due grandi aspetti del curricolo implicito sono rappresentati da un lato dalla pedagogia e didattica latente, cioè l'insieme di stili, comportamenti, scelte didattico-educative che trasmettono messaggi e contenuti educativi sottesi agli allievi, dall'altro dal setting formativo, consistente nel modo in cui concretamente nell'istituto si gestiscono lo spazio, il tempo e le modalità di raggruppamento degli allievi. In particolare gli spazi sono un manifesto ideologico del modo in cui la scuola vede il progetto formativo per i propri alunni, del modo in cui vede gli alunni stessi e sé stessa, a partire dalla considerazione che mostra per le possibilità di movimento, di ricerca, di esplorazione e di personalizzazione dell'apprendimento da parte degli studenti. Anche la gestione del tempo è una variabile curricolare che condiziona notevolmente i processi di maturazione cognitiva, sociale e culturale degli allievi, indicando conseguentemente se l'allievo è davvero al centro del percorso formativo o meno. Quindi distendere e personalizzare i tempi di apprendimento in base alle effettive esigenze formative, alle caratteristiche intellettive, alle situazioni iniziali di preparazione degli studenti, costituisce in effetti una variabile determinante per il potenziale successo formativo raggiungibile da tutti, anche dai più svantaggiati sul piano cognitivo e/o socio-culturale. Infine una scuola che non vede quasi mai protagonisti i gruppi ma solo i singoli, nelle varie attività di apprendimento, educa i suoi studenti all'individualismo, non solo con tutti i limiti culturali, psicologici e sociali che ne derivano, ma anche con le possibili e rischiose deformazioni caratteriali della personalità quali scoraggiamento, solitudine, incapacità appresa e bassa autostima che potrebbero manifestarsi negli allievi più deboli culturalmente e più fragili psicologicamente.

martedì 5 marzo 2013

Roman Jakobson: un linguista "di razza" tutto da scoprire


Approfondire la conoscenza della lingua, ed in particolare delle teorie e dei meccanismi ad essa relativi, non solo esclusività degli "addetti ai lavori", è importante ed utile perché aiuta ad acquisire maggiore consapevolezza dell'uso che se ne fa quotidianamente e dunque consente di utilizzarla sicuramente meglio.
"Linguista sum: linguistici nihil a me alienum puto": così, parafrasando Terenzio, amava definirsi lo stesso Jakobson, noto linguista russo, ogni qualvolta voleva sintetizzare il suo personale approccio e modo di procedere nei confronti della teoria linguistica. In effetti non poteva scegliere espressione più appropriata, data la grande molteplicità e versatilità dei suoi interessi in materia: essi spaziavano da ogni minimo dettaglio della dottrina linguistica in particolare fino ad ogni problematica extralinguistica che con essa confinava. Anche per questo l'acuta presenza di Jakobson e la qualità del suo lavoro caratterizzano buona parte della linguistica contemporanea in un continuo confronto di idee ed in un'incessante capacità di rinnovamento. Difatti egli, nella sua lunga vita, ha potuto seguire tutto lo sviluppo della linguistica del Novecento, partecipandovi in posizioni di primo piano, anzi di avanguardia. Non a caso certe pagine delle sue opere diventano di autobiografia perché la sua esperienza finisce per identificarsi con quella della linguistica stessa: il fatto sostanziale é che la sua vita si conforma, quasi iconicamente, alla strutturazione dei suoi interessi. Frequentando i poeti, i teorici della letteratura ed i linguisti, egli realizzava nella sua persona d'individuo storico quella collaborazione e fusione di poetica, linguistica e filologia, che caratterizza il suo procedere e che fa eccezionalmente ricca la sua riflessione. Un autore di formidabili capacità di lavoro, le cui misure predilette sono quelle dell'ampio articolo o della conferenza, anche per l'esigenza di comunicazione e monitoraggio, che naturalmente, insieme a numerosi saggi, hanno dato origine a volumi; insomma egli preferiva la ricerca su singoli punti alla sistemazione generale. Questa scelta gli ha permesso di spaziare su tutti i territori della linguistica, della poetica, della semiotica, della storia letteraria e del folclore; questi, infatti, sono i settori dell'attività scientifica del linguista dalla giovinezza fino ai suoi ultimi anni, in una vastissima opera omogenea che si configura come un tutto indissolubile; pertanto la sua grandezza può essere meglio intesa e misurata solo sull'assieme della sua attività e produzione. Il tratto che caratterizza principalmente l'opera di Jakobson e costituisce la sua grandezza, oltre ovviamente agli autorevoli risultati conseguiti, è sostanzialmente l'abilità del suo autore nello stimolare il pensiero del lettore, mediante una ricerca intrepida condotta con un costante interesse scientifico. 
La sua bibliografia comprende centinaia di titoli ed in essa trovano la sede adatta in special modo due movimenti culturali di particolare e significativo rilievo, il formalismo e lo strutturalismo; senza voler contare poi i punti di vista sulla struttura e le indagini tipologiche delle lingue, le nuove prospettive sulla critica della espressione artistica, l'enunciazione di leggi generali sulla natura del segno linguistico e della comunicazione; quindi la nota teoria sulle funzioni del linguaggio, in cui risulta evidente l'apporto prezioso delle intuizioni del linguista, ed altro ancora. 
In ultima analisi Jakobson si appassionò ad un segmento del mondo oggettivo, come si suol dire, a trecentosessanta gradi: il linguaggio in senso lato, unica fonte possibile attraverso la quale si accede a tutto ciò che é specificamente umano (per cominciare, si consigliano del linguista, in particolare, questi testi in traduzione: Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966; Lo sviluppo della semiotica e altri saggi, Milano, Bompiani, 1978; La linguistica e le scienze dell'uomo. Sei lezioni sul suono e sul senso, Milano, Il Saggiatore, 1978; La forma fonica della lingua, Milano, Il Saggiatore, 1984; Poetica e Poesia. Questioni di teoria e analisi testuali, Torino, Einaudi, 1985).

Sulle scienze dell’educazione


La pedagogia riveste un ruolo fondamentale in quanto costituisce un dispositivo essenziale per spiegare e comprendere le questioni sollevate dalle varie scienze dell'educazione, allo scopo di incanalarle in un ambito autenticamente formativo; in altri termini non è compito peculiare della pedagogia quello di indagare come una disciplina particolare, ma come una risorsa trasversale, riflessiva, transdisciplinare e appunto per questo generale, collocata quindi sistematicamente a cavallo tra le diverse scienze dell'educazione. Sono varie poi quelle che si possono considerare altre scienze dell'educazione le quali si occupano, a volte anche in modo marginale, di elementi dei fenomeni educativi e i rispettivi esperti in ciascuna di esse sono da ritenersi degli specialisti in processi e sistemi formativi; ciò è vero in quanto le scienze dell'educazione in generale sono in grado di analizzare fenomeni e istituzioni in modo micro e macro-analitico, vale a dire nelle loro peculiarità singole e individuali così come in quelle generali e collettive; ciò significa ancora che permettono un lavoro sul soggetto in quanto tale nonché sulla struttura che lo accoglie, per giungere alla progettazione di una struttura nuova, più funzionale nell'accogliere determinati soggetti. Tali scienze da considerare appunto dell'educazione si sono quindi sviluppate intorno a quattro settori: psicologico, sociologico, metodologico-didattico e dei contenuti.

I concetti di educazione, istruzione e formazione


IL CONCETTO DI EDUCAZIONE... In generale con il termine 'educazione' intendiamo l'azione appunto di educare, istruire, formare una persona. Se si intende quindi il concetto di educazione con l'ampiezza e la comprensività che gli spettano, non si può fare a meno di accettare due conclusioni fondamentali, e cioè da un lato che non esiste società umana, per primitiva che sia, che non possieda le sue istituzioni educative, e dall'altro che l'educazione investe e copre l'intera vita dell'uomo. Ogni società elabora quella che si definisce col nome di cultura, includendo nella nozione il complesso dei valori, delle conoscenze e delle tecniche che assicurano la convivenza, la soddisfazione dei bisogni e la sopravvivenza del gruppo. Tramandare la cultura da una generazione all'altra è il compito primario di quella che si chiama appunto 'educazione': se non ci fosse stata rieducazione, l'uomo avrebbe dovuto ad ogni generazione riaffrontare ex novo i problemi dell'esistenza elementare e non sarebbe mai riuscito a evadere dalle condizioni della più estrema primitività. C'è una storia e c'è un progresso del genere umano, in qualunque modo si vogliano intendere questi concetti, perché le generazioni sono sempre state legate l'una all'altra dal tessuto vivente dell'educazione. D'altro canto, se si considera la vita del singolo, si vedrà che non si riuscirà mai a segnare un punto per il quale si possa dire che l'educazione è arrivata con esso al suo compimento. ... UNITO A QUELLO DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE. Il concetto di'istruzione', inteso sia come procedimento metodico di comunicazione e di acquisizione del sapere sia come l'insieme delle conoscenze acquisite, non può essere approfondito se non nell'ambito di una più generale problematica educativa. Anzitutto si pone il problema del rapporto tra istruzione ed educazione, ossia del valore del fattore intellettuale nella formazione della personalità: secondo alcuni l'istruzione è di per se stessa educativa, in quanto compito fondamentale dell'educazione deve essere la formazione delle idee e del retto giudizio; per altri invece la formazione del carattere e della volontà, l'autodisciplina, l'equilibrio fisico e così via hanno prevalente importanza e valore rispetto allo sviluppo dell'intelligenza e all'acquisizione del sapere. Ma, anche nell'ambito esclusivo della formazione intellettuale, si distingue l'istruzione materiale, o informativa, che si preoccupa di erudire, di arricchire la mente di conoscenze, dall'istruzione formale, che tende a sviluppare le capacità intellettuali, a potenziare la facoltà di apprendere piuttosto che ad aumentare il numero delle cognizioni. Circa la scelta dei mezzi per ottenere un tale potenziamento delle capacità intellettive, sorge il contrasto tra i sostenitori del valore formativo della cultura umanistico-letteraria e filosofica, i sostenitori della cultura scientifica e infine i sostenitori di un insegnamento di tipo tecnico e pratico, che accusano la scuola di cultura di astrattezza e insistono invece sul valore educativo del lavoro. Occorre rilevare che il problema dell'istruzione non si pone soltanto in vista di una formazione generale della personalità, ma anche in relazione a scopi utilitari più immediati: onde nasce la distinzione tra istruzione generale e istruzione specializzata, intesa a una preparazione professionale. Le esigenze della società contemporanea, determinate dal progresso tecnico, dall'industrialismo, dalla divisione del lavoro, hanno accentuato l'importanza dell'istruzione e quindi conseguentemente della formazione di tipo tecnico e professionale. In tutti i paesi civili, accanto alle scuole tradizionali, si sono venuti diffondendo sempre più scuole e corsi di preparazione a funzioni ben precise da svolgere, a tutti i livelli, nel mondo del lavoro. Ora, proprio nell'ambito di queste scuole si ripresenta, forse in termini più concreti, il problema della distinzione tra istruzione materiale e istruzione formale: infatti una tecnica particolare di lavoro può essere appresa facilmente, mediante un breve corso di specializzazione da seguire nell'ambito di un complesso imprenditoriale, soltanto quando si sia acquisita l'abitudine allo studio e alla ricerca e la mente sia stata esercitata ad assimilare continuamente idee nuove.

L’identità della pedagogia oggi


          Oggi la pedagogia di sicuro non ha più come proprio unico oggetto il bambino, dal momento che, allo stato attuale, la pedagogia stessa si occupa dell'educazione e della formazione di tutti i soggetti durante l'intero arco della vita e nella relazione con determinati contesti e ambienti (lifelong learning e lifewide learning). 
Infatti l'istruzione è oggi più che mai uno strumento indispensabile per la costruzione di una realtà di pace e buoni rapporti tra le persone. In tutto questo le politiche per il Lifelong Learning, vale a dire l'educazione permanente lungo tutto l'arco della vita, giocano un ruolo fondamentale per consentire una formazione adeguata alle nuove e crescenti richieste della società e del mondo del lavoro. Il valore fondamentale del Lifelong Learning e le nuove frontiere dell'istruzione e della formazione sono testimoniati anche dall'evoluzione del concetto stesso di alfabetizzazione, da acquisizione delle competenze di base, leggere, scrivere, fare di conto, a insieme complesso di saperi che spazia tra varie discipline ed abbandona l'idea di un sapere dogmatizzato in favore di una 'forma mentis' più flessibile e critica. In effetti nella società in cui viviamo le nozioni apprese a scuola vengono troppo facilmente e troppo velocemente dimenticate; il mondo del lavoro invece richiede un alto livello di scolarizzazione, che poi va mantenuto. Per questo occorre creare una circolarità virtuosa tra apprendimento e lavoro.
Il Lifelong Learning non è un nuovo slogan della pedagogia, ma un concetto che ha cambiato l'idea stessa di pedagogia, facendo capire che essa non può limitarsi alla sola età della crescita ma deve snodarsi lungo tutto l'arco della vita. La sfida dell'uomo del futuro, dunque, è apprendere ad apprendere, mentre per la scuola si aprono nuove frontiere, in particolare quelle rappresentate dalle cosiddette neo-alfabetizzazioni: l'educazione ambientale, la bioetica, la multicultura e l'educazione alla pace.
Quindi la sfida attuale dell'educazione impone alla pedagogia di darsi un altro volto. Un volto interpretativo e critico, profetico anche, progettuale e non-sistemico, capace di attestarsi proprio sul carattere formale di essere sfida e di pensare il futuro piuttosto che il presente. La pedagogia attuale onora però questo suo compito solo in parte; in ogni caso il tempo del ripensare sul piano teorico l'educazione e di pensarla in termini critico­-radicali sembra quasi del tutto tramontato. 'Fare pedagogia' è, sempre di più, stare nella dimensione amministrativa: risolvere problemi sociali urgenti e legati al funzionamento del sistema, da ottimizzare e da regolare secondo la logica del calcolo. Poche voci si levano contro e oltre questa tendenza attuale del 'fare pedagogia' appunto.
Del resto la svolta epocale della globalizzazione e della civiltà planetaria ci impone di fissare nuove grandi mete che solo l'educazione ci permetterà di realizzare, poiché solo essa progetta e trasforma insieme, soprattutto essa pensa il futuro dall'uomo e per l'uomo.
E' per questo che una pedagogia concepita in tal modo deve contrassegnarsi prevalentemente partendo dalla progettazione e interpretazione del futuro. Deve leggerne i segni nel presente, deve decantarne le attese, deve organizzarne l'immagine, assegnando a quel futuro un'identità e una fattibilità: un'identità, appunto, organica, e una fattibilità strutturata in strategie, politiche sociali e individuali. L'aspetto di organicità di tale futuro deve emergere dall'analisi razionale dei bisogni e delle attese, in quanto la validità e l'efficacia di un tale progetto si misura proprio su questo scenario di costruzione di un tempo nuovo che tenga conto delle istanze più profonde, e più propriamente umane, che tale futuro già dal nostro presente mette in gioco. Quel futuro sarà e dovrà essere per l'uomo, per quell"umanità' che la pedagogia cura, tutela e 'coltiva' e che già nel presente appare come il principio e valore intorno al quale dovrà venire a costituirsi il mondo futuro.

giovedì 17 gennaio 2013

Sul 'portfolio'


Originariamente il portfolio appartiene al campo delle arti espressive e prende la forma in una raccolta di lavori, di opere personali come disegni, fotografie, testi scritti e così via, che testimoniano le particolari capacità e qualità del soggetto che le ha prodotte.
Più esattamente è una raccolta dei lavori migliori, tale da testimoniare il valore dell’artista di fronte a un interlocutore. Già in questa sua funzione originaria si coglie come il portfolio voglia essere uno strumento di comunicazione: non è fine a se stesso, ma svolge una funzione di narrazione, di comunicazione all’interno di una relazione, deve dire qualcosa di una persona ad altre persone.
La costruzione del portfolio dunque non può che essere un atto personale che impone una decisione rispetto a ciò che di sé l’artista vuole comunicare e obbliga a un atto di interpretazione colui che comunica come colui che ascolta e riceve l’informazione.
Questi tratti non si perdono nel suo trasferimento all’ambito educativo; il portfolio conserva la sua impronta creativa, comunicativa, interpretativa e proprio questi aspetti ne fanno uno strumento particolarmente utile alla valutazione qualitativa e alla realizzazione di interventi valutativi che vogliano anche essere formanti.
Il portfolio quindi, utilizzato in classe per la valutazione educativa, è più precisamente una raccolta di ciò che lo studente produce nei momenti quotidiani dell’anno scolastico. La forma concreta è quella di un raccoglitore in cui vengono riposti i lavori dello studente. Già dalla descrizione del suo aspetto fisico si possono ricavare alcuni elementi del modello valutativo sottinteso.
Intanto si tratta di uno strumento pensato per essere utilizzato in un contesto relazionale preciso e limitato: quello della vita di classe; in un tempo che è quello del quotidiano svolgersi del processo formativo in cui l’intervento valutativo e quello didattico fluiscono intrecciati; infine già è possibile cogliere come l’attenzione sia posta sul soggetto e sulla sua produzione.
Il portfolio scolastico conserva anche un altro aspetto del portfolio artistico che lo specifica ulteriormente come metodo alternativo di valutazione, infatti, anche in ambito educativo, non si tratta semplicemente di raccogliere tutti i lavori dello studente, ma solo quelli migliori, quelli che rappresentano la sua riuscita.
La logica sottostante al portfolio è una logica selettiva in cui il potere decisionale è prevalentemente nelle mani dello studente che, selezionando i propri lavori, decidendo che cosa inserire nel portfolio, si riappropria della responsabilità valutativa ed è stimolato a riflettere su sé stesso, sulla qualità del proprio prodotto e del proprio percorso, sui punti di forza e di debolezza e sui passi da compiere per migliorarsi.
Insomma selezionando, decidendo, valutando egli compie un percorso di autoconoscenza e autovalutazione e costruisce e comunica, motivandola, la propria immagine di sé. In ogni caso va detto che nella selezione dei lavori da inserire nel portfolio possono intervenire, e generalmente intervengono, anche criteri esterni al soggetto, ma definiti sempre con il suo coinvolgimento; comunque sia, la scelta dei lavori deve sempre essere motivata dallo studente che la compie. Non si tratta solo di scegliere, ma di dire perché si è scelto un lavoro piuttosto che un altro, di svelare la propria interpretazione, il criterio che fa sì che un prodotto sia giudicato migliore. Attraverso il portfolio inoltre il soggetto è chiamato a riflettere sui singoli lavori, ma anche sulla relazione che tra essi intercorre, sullo sviluppo complessivo e sull’andamento qualitativo del proprio apprendimento, sui processi che hanno condotto a determinati risultati.
Il 'formato ideale' e originario del portfolio è pensato per il raggiungimento di due scopi fondamentali: a) formare la capacità di riflettere sul proprio lavoro, sugli esiti e sui processi, e di valutarli; b) rendere manifesto il percorso di sviluppo del soggetto, la sua storia di formazione, affinché egli ne diventi consapevole e possa giudicarla e orientarla.
A questo punto dovrebbe essere evidente il perché si è indicato il portfolio come uno strumento capace di fare della valutazione un momento anche formativo. Questo strumento rappresenta una possibilità di concretizzare il progetto di una valutazione che sia formante poiché, responsabilizzando lo studente, realizza una valutazione consapevolizzante. Attraverso il portfolio lo studente esercita l’autovalutazione e partecipa consapevolmente alla costruzione e all’orientamento del proprio apprendimento.

Sulle competenze


          Si può parlare di cosa siano le competenze, e dell'importanza da loro rivestita, intanto ponendo attenzione al processo di rilevazione dell’apprendimento.
Infatti a partire dal vissuto dell’alunno, è fondamentale progettare itinerari formativi e ipotizzare una rilevazione dell’acquisizione dell’apprendimento, prevedendo prove complesse contestualizzate, che consentono di accostare le competenze raggiunte attraverso le conoscenze e abilità indicate negli obiettivi formativi in fase di progettazione.          
Le competenze possono cioè essere intese come “strategie contestualizzate”, vale a dire in altri termini capacità di relazionare in modo creativo e specifico conoscenze e procedure in modalità differenti e in contesti differenti, rispetto a uno scopo preciso: ciò sta a significare non solo individuare e risolvere problemi in un contesto organizzato, ma anche esercitare un controllo sulle procedure utilizzate per risolvere un problema e usare abilmente e in modo creativo le proprie conoscenze dichiarative e procedurali.
Fermarsi all’analisi del prodotto, della performance, non garantisce sotto questo aspetto. Diviene essenziale l’analisi del processo, della consapevolezza delle scelte effettuate soprattutto in relazione alle strategie e ai tre livelli fondamentali di conoscenza:
-         dichiarativa, che attiene conoscenza di nomi, date, eventi e così via ed è legata alle precomprensioni;
-         condizionale, che riguarda porre legami tra eventi, compiere inferenze e permette di predire cosa accadrà a partire da informazioni note (se… allora…);
-         procedurale, che include i primi due e attiva un processo di 'problem solving' in vista di un obiettivo o scopo da raggiungere, selezionando le azioni da compiere per riuscirci.
Una valutazione che voglia seriamente prendere in carico il processo di apprendimento deve toccare tutti e tre i livelli. Se per il primo le verifiche tradizionali sono strumento sufficiente e per il secondo la strutturazione oculata di prove oggettive può dare garanzie, per la conoscenza procedurale lo strumento più adeguato sono le prove contestualizzate complesse.
Anche le prove si diversificano a seconda della metodologia generale d’insegnamento utilizzata: più centrata su processi di assimilazione e riproduzione dei contenuti oppure più tesa a promuovere quell’appropriazione significativa provata dalla capacità d’uso delle conoscenze in contesti reali e complessi, che richiedono l’integrazione produttiva di abilità diverse e conoscenze tratte da ambiti diversi.
Per questo serve una valutazione autentica, cioè un processo predittivo, capace di determinare ciò che l’alunno saprebbe realmente fare con ciò che sa in un contesto concreto, rilevando dunque le sue effettive competenze ed educandolo anche ad autovalutarsi, in modo da responsabilizzarlo. 

Ruolo della formazione nella società della conoscenza


La società del terzo millennio è assai diversa da quella per la quale era stato progettato il sistema di istruzione che stiamo per abbandonare (nella scuola) o è stato abbandonato (nell'università). Globalizzazione, 'new economy', finanziarizzazione dell'economia, apertura dei mercati internazionali sono alcuni degli elementi che caratterizzano le società nelle quali viviamo e con le quali i sistemi formativi devono oggi fare i conti. Negli scenari attuali, la risorsa economica di base non sono più, o almeno non soltanto, il capitale finanziario o il lavoro e tanto meno le risorse naturali, ma le relazioni, le conoscenze, il capitale umano e intellettuale. Le conoscenze, le capacità e l'immaginazione, così come il 'networking' per la messa a fattor comune di esperienze, capacità e conoscenze e, quindi, la capacità di apprendere, contano più dei capitali fisici, tecnologici e finanziari tradizionalmente al centro degli scenari economici ed organizzativi.
L'esigenza di formare persone con elevate qualifiche, calate sulla cultura locale, deve sapersi conciliare contemporaneamente con la necessità di fornire quelle competenze necessarie per rapportarsi ad una società che non ha altri confini che non siano quelli planetari. Ciò anche alla luce delle principali trasformazioni del mercato del lavoro, che pongono l'accento sull'importanza della circolazione del sapere in una logica tesa alla formazione dell'individuo non solo nelle sue componenti legate al lavoro e alla sfera produttiva, ma anche nel rispetto della sua crescita personale e sociale (si pensi all'introduzione di concetti come 'empowerment' e 'self-empowerment') quale soggetto responsabile ed attivo anche sul piano del sapersi mettere e rimettere in gioco in mercati del lavoro mobili, fluidi, flessibili e precari.
Centrale diviene il ruolo dell'individuo come risorsa, in cui l'identità professionale richiama non solo abilità di ordine tecnico, ma anche un capitale umano da costruire e ricostruire lungo tutto l'arco dell'esistenza. Cambiano quindi le caratteristiche richieste ai "nuovi" lavoratori: a questi non vengono semplicemente chieste conoscenze generali o competenze specialistiche, ma anche e soprattutto propensione ad apprendere, capacità di cogliere i segnali di cambiamento e di reagire ai problemi, flessibilità e mobilità. Alle competenze tradizionali si aggiungono oggi competenze di carattere generale e trasversale, o metacompetenze, che consentono quindi al lavoratore di muoversi in contesti sempre meno regolati. Così come l''e-competence' è un termine, e una richiesta, sempre più presente negli scenari delle nostre vite, lavorative e non.
L'uso della parola competenza nella riflessione sul sapere e sul saper fare, poi, è da tempo oggetto di dibattito, poiché si tratta di un concetto dai contorni sfumati, che non a caso viene utilizzato per esprimere l'ambivalenza di mutamenti culturali che riguardano il passaggio dalla centralità del concetto di insegnamento a quello di apprendimento; se si assume questa prospettiva, riflettere sul formare e sull'educare significa non tanto soffermarsi sui contenuti, vale a dire i singoli saperi e le discipline, ma sul modo in cui si predispone un soggetto all'apprendimento.
Nell'attuale società i saperi subiscono una continua trasformazione in qualsiasi campo, e nuovi saperi entrano continuamente e velocemente nel complesso scenario della conoscenza. Non è più possibile continuare a riprodurre le conoscenze nei modi tradizionali e, se le istituzioni formative, in primis la scuola e le università, non si adegueranno nell'organizzare nuove modalità di trasmissione dei saperi, correranno il rischio di essere emarginate dalle nuove infrastrutture di produzione della conoscenza.
Il concetto di apprendimento, così come quello dei saperi in rete e del networking, diviene il nucleo intorno al quale ruota l'impostazione della formazione oggi, a qualsiasi livello, in una prospettiva che ne sottolinea il carattere costruttivo: ogni soggetto si impegna nella costruzione delle proprie abilità, assume consapevolezza del proprio punto di vista, in una continua attività di organizzazione e di riorganizzazione delle proprie conoscenze e capacità, in un processo in cui la persona assume quindi un ruolo attivo, con un accento particolare sul modo in cui si apprende e in cui si produce apprendimento.
Per quanto riguarda, in particolare, le aziende e le altre organizzazioni, solo negli ultimi anni la maggior parte dei manager hanno cominciato a considerare conoscenze e competenze come risorse strategiche che dovrebbero gestire allo stesso modo in cui gestiscono i flussi di cassa, il personale o le materie prime. II lavoro manageriale del futuro prossimo venturo sarà connotato, ben più di oggi, in termini di sviluppo del capitale umano e intellettuale: creazione di conoscenza organizzativa, gestione e sviluppo delle conoscenze, delle capacità e delle abilità, per diffonderle all'interno/esterno delle organizzazioni e tradurle in prodotti, servizi e sistemi.
Valga tutto quanto detto con l'avvertenza che la conoscenza è un oggetto complesso e poliedrico: accanto a conoscenze verbali, o comunque verbalizzate e narrate, o numeriche, troviamo 'insights' soggettivi, intuizioni, modelli mentali, credenze, percezioni e varie forme di quella che viene solitamente definita "conoscenza tacita" e che ci ricorda che noi possiamo conoscere e saper fare più di quello che sappiamo esprimere e, inoltre, che le conoscenze più preziose difficilmente possono essere insegnate e trasmesse con modalità dirette e classiche, vuoi perché per un certo verso obsolete, vuoi perché ormai insufficienti a soddisfare le esigenze e le richieste formative attuali. Ben sapendo, comunque, che le tecnologie da sole non possono garantire l'utilizzo ottimale del capitale umano e intellettuale e che l'elemento chiave più rilevante per un pieno utilizzo delle conoscenze e delle capacità è costituito dal consolidamento di una cultura organizzativa volta a incoraggiare e supportare la condivisione delle conoscenze e delle competenze.
(di B. Bertagni, M. La Rosa, F. Salvetti)

Esperienze di insegnamento e aspetti della propria professionalità


Parlando di personali esperienze di insegnamento e di aspetti consolidati della propria professionalità, data per ferma e scontata la padronanza della materia oggetto di insegnamento/apprendimento, credo fermamente che sia fondamentale che il docente ami la propria disciplina, la viva costantemente e sia messo in condizione di poter provare letteralmente gusto nell'insegnarla. É importante, cioè, che il docente abbia piacere a far conoscere, discutere e vivere ai propri allievi i momenti formativi della propria disciplina. Questo suggerimento indica chiaramente che il docente deve cogliere i momenti basilari della propria disciplina nell’ambito dei programmi da sviluppare nei diversi anni e caratterizzare i suoi interventi didattici raccordandoli con spunti personali e riflessioni critiche. In altre parole deve mirare a presentare la sua disciplina come una chiave di lettura della realtà. E ciò è tanto più bello quanto più si abbattono le distanze docente-discente e si entra in uno stretto rapporto di collaborazione nella ricerca della conoscenza su ogni particolare argomento affrontato. Dunque per me la passione del docente, unita alla sua preparazione, è il motore di un insegnamento proficuo perchè lo stesso docente, interessato e motivato a migliorare la propria metodologia didattica ed impegnato seriamente a  trasmettere le sue esperienze, è anche in grado di leggere i segnali innovativi, da qualunque direzione provengano: ritengo che questo modo di porsi sia proprio di un docente nonchè educatore che viva la sua attività con passione, prima ancora che come un lavoro.
Infatti la professione docente non è facile; lo è ancor meno quella dell’educatore. Insegnare, poi, diventa ancora meno facile, di quanto già non sia, se lo si fa solo per necessità di lavoro. Si può essere ottimi conoscitori della propria disciplina e comunque non riuscire a trasmetterne i fondamenti a chi è desideroso di apprenderli.
Per questo mi convinco sempre di più, come accennavo prima riferendomi alla mia esperienza personale, che l’insegnamento diventa gratificante e ricco di soddisfazioni solo se coesistono la passione per la disciplina e l’obiettivo di contribuire alla crescita della comunità.
Scendendo poi più nel dettaglio, credo che una buona metodologia didattica, a mio giudizio, dovrebbe promuovere e incentivare la creazione nelle scuole di ambienti di apprendimento che superino lo schema classico:
lezione frontale ® studio individuale ® interrogazione;
bisogna dare invece vita a comunità di discenti e docenti che insieme analizzano ed approfondiscono gli oggetti di studio nella costruzione dei saperi condivisi.
Come corollario di questo obiettivo si deduce immediatamente che una didattica nell'ambito della scuola può dirsi valida, a mio parere, solo se adotta metodi di insegnamento capaci di valorizzare contemporaneamente gli aspetti cognitivi e quelli sociali, gli aspetti affettivi così come quelli relazionali. In altri termini non ci può essere apprendimento significativo se il soggetto non condivide i momenti formativi facendoli propri. Quest'ultimo deve, cioè, poter assimilare ed accomodare nella propria matrice cognitiva le nuove conoscenze di cui è venuto in possesso.