La società del terzo millennio è assai diversa da quella
per la quale era stato progettato il sistema di istruzione che stiamo per
abbandonare (nella scuola) o è stato abbandonato (nell'università).
Globalizzazione, 'new economy', finanziarizzazione dell'economia, apertura dei mercati internazionali
sono alcuni degli elementi che caratterizzano le società nelle quali viviamo e
con le quali i sistemi formativi devono oggi fare i conti. Negli scenari
attuali, la risorsa economica di base non sono più, o almeno non soltanto, il
capitale finanziario o il lavoro e tanto meno le risorse naturali, ma le
relazioni, le conoscenze, il capitale umano e intellettuale. Le conoscenze, le
capacità e l'immaginazione, così come il 'networking' per la messa a
fattor comune di esperienze, capacità e conoscenze e, quindi, la capacità di
apprendere, contano più dei capitali fisici, tecnologici e finanziari
tradizionalmente al centro degli scenari economici ed organizzativi.
L'esigenza di formare persone con elevate qualifiche,
calate sulla cultura locale, deve sapersi conciliare contemporaneamente con la
necessità di fornire quelle competenze necessarie per rapportarsi ad una
società che non ha altri confini che non siano quelli planetari. Ciò anche alla
luce delle principali trasformazioni del mercato del lavoro, che pongono
l'accento sull'importanza della circolazione del sapere in una logica tesa alla
formazione dell'individuo non solo nelle sue componenti legate al lavoro e alla
sfera produttiva, ma anche nel rispetto della sua crescita personale e sociale
(si pensi all'introduzione di concetti come 'empowerment'
e 'self-empowerment') quale soggetto
responsabile ed attivo anche sul piano del sapersi mettere e rimettere in gioco
in mercati del lavoro mobili, fluidi, flessibili e precari.
Centrale diviene il ruolo dell'individuo come risorsa, in
cui l'identità professionale richiama non solo abilità di ordine tecnico, ma
anche un capitale umano da costruire e ricostruire lungo tutto l'arco
dell'esistenza. Cambiano quindi le caratteristiche richieste ai
"nuovi" lavoratori: a questi non vengono semplicemente chieste
conoscenze generali o competenze specialistiche, ma anche e soprattutto
propensione ad apprendere, capacità di cogliere i segnali di cambiamento e di
reagire ai problemi, flessibilità e mobilità. Alle competenze tradizionali si
aggiungono oggi competenze di carattere generale e trasversale, o
metacompetenze, che consentono quindi al lavoratore di muoversi in contesti
sempre meno regolati. Così come l''e-competence' è un termine, e
una richiesta, sempre più presente negli scenari delle nostre vite, lavorative
e non.
L'uso della parola competenza nella riflessione sul sapere e sul saper fare, poi, è da tempo oggetto di dibattito, poiché si tratta di un concetto dai
contorni sfumati, che non a caso viene utilizzato per esprimere l'ambivalenza
di mutamenti culturali che riguardano il passaggio dalla centralità del
concetto di insegnamento a quello di apprendimento; se si assume questa prospettiva,
riflettere sul formare e sull'educare significa non tanto soffermarsi sui
contenuti, vale a dire i singoli saperi e le discipline, ma sul modo in cui si predispone un soggetto all'apprendimento.
Nell'attuale società i saperi subiscono una continua
trasformazione in qualsiasi campo, e nuovi saperi entrano continuamente e
velocemente nel complesso scenario della conoscenza. Non è più possibile
continuare a riprodurre le conoscenze nei modi tradizionali e, se le
istituzioni formative, in primis la scuola e le università, non si
adegueranno nell'organizzare nuove modalità di trasmissione dei saperi,
correranno il rischio di essere emarginate dalle nuove infrastrutture di
produzione della conoscenza.
Il concetto di apprendimento, così come quello dei saperi
in rete e del networking, diviene il nucleo intorno al quale
ruota l'impostazione della formazione oggi, a qualsiasi livello, in una
prospettiva che ne sottolinea il carattere costruttivo: ogni soggetto si
impegna nella costruzione delle proprie abilità, assume consapevolezza del
proprio punto di vista, in una continua attività di organizzazione e di
riorganizzazione delle proprie conoscenze e capacità, in un processo in cui la
persona assume quindi un ruolo attivo, con un accento particolare sul modo in
cui si apprende e in cui si produce apprendimento.
Per quanto riguarda, in particolare, le aziende e le altre
organizzazioni, solo negli ultimi anni la maggior parte dei manager hanno cominciato a considerare conoscenze e competenze come risorse
strategiche che dovrebbero gestire allo stesso modo in cui gestiscono i flussi
di cassa, il personale o le materie prime. II lavoro manageriale del futuro
prossimo venturo sarà connotato, ben più di oggi, in termini di sviluppo del
capitale umano e intellettuale: creazione di conoscenza organizzativa, gestione
e sviluppo delle conoscenze, delle capacità e delle abilità, per diffonderle
all'interno/esterno delle organizzazioni e tradurle in prodotti, servizi e
sistemi.
Valga tutto quanto detto con l'avvertenza che la
conoscenza è un oggetto complesso e poliedrico: accanto a conoscenze verbali, o
comunque verbalizzate e narrate, o numeriche, troviamo 'insights' soggettivi, intuizioni, modelli mentali, credenze, percezioni e varie
forme di quella che viene solitamente definita "conoscenza tacita" e
che ci ricorda che noi possiamo conoscere e saper fare più di quello che
sappiamo esprimere e, inoltre, che le conoscenze più preziose difficilmente
possono essere insegnate e trasmesse con modalità dirette e classiche, vuoi perché per un certo verso obsolete, vuoi
perché ormai insufficienti a soddisfare le esigenze e le richieste formative
attuali. Ben sapendo, comunque, che le tecnologie da sole non possono garantire
l'utilizzo ottimale del capitale umano e intellettuale e che l'elemento chiave più
rilevante per un pieno utilizzo delle conoscenze e delle capacità è costituito
dal consolidamento di una cultura organizzativa volta a incoraggiare e
supportare la condivisione delle conoscenze e delle competenze.
(di B. Bertagni, M. La Rosa, F. Salvetti)
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